Di tutto un po'......

martedì 26 novembre 2013

"Femminicidio" : quando la grammatica uccide l'identità (di specie)

E' un vizio della cultura moderna: rispolverare vergogne antiche quanto l'uomo e metterle sotto i riflettori per una stagione o due, dotandole di nuova visibilità e magari di nomi accattivanti.
E' toccato al bullismo,esploso come allarme sociale solo qualche anno fa, dopo che generazioni di ragazzini smilzi sono finiti chiusi nello sgabuzzino per mano di compagni ufficialmente ritenuti giusto " un po' vivaci".
Dopo è stato il turno del mobbing e dello stalking,termini british per definire la sempiterna str***aggine di colleghi invidiosi e spasimanti respinti.
Ora è la volta del "femminicidio",che alla legittima indignazione per la superficialità dell'approccio (ci si strugge per i volti a "Terzo grado" ma poche lacrime per le migliaia di donne che da sempre, in tutto il mondo, scontano la loro debolezza in situazioni di instabilità e/o arretratezza sociale, politica,culturale) unisce una disgraziata onomastica. In primo luogo ci si chiede perché la soppressione di un individuo di sesso femminile non possa rientrare a pieno diritto nella definizione "omicidio" (dove "omi" sta per "dell'uomo",inteso non solo come maschio ma come essere umano); e ammesso che si voglia distinguere fra omicidio maschile e femminile,perchè non definire quest'ultimo "donnicidio" o "gunaicidio" (dal greco "gunè-gunaikos"= "donna")invece di "femminicidio",dove "femmina" potrebbe riferirsi indistitamente a qualunque essere vivente di sesso femminile,dalla scimmia alla zanzara spiaccicata sul parabrezza? Dovremmo allora definire l'assassinio di un uomo "maschicidio",o c'è il rischio che il termine creato per offrire maggior visibilità alla violenza sulle donne privilegi la loro appartenenza al genere(femminile) piuttosto che quella alla specie(umana).

                                 

                                   

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